
Giuseppe Di Lecce
Gimnosofisti
Col termine greco gymnosophistes, tramite il latino gymnosophista, i filosofi classici dell’Ellade e di Roma definivano i sapienti indiani conosciuti dopo la spedizione di Alessandro Magno. L’espressione ben dice l’attitudine a tradurre la saggezza metafisica in un’esperienza di vita che coinvolge il corpo, la sua respirazione, le sue posture, l’ascesi intesa etimologicamente quale esercizio della carne (anche estremo, paradossale, al limite della follia o della mistificazione). Si tratta dei sadhu, gli asceti che in italiano, con malcelato disprezzo chiamiamo “santoni”. Il giovane fotografo Giuseppe Di Lecce ha attraversato l’India con occhi curiosi, divertiti, stupefatti (spesso affettuosamente ironici) collezionando volti e corpi plasmati nella fatica della meditazione o di una mortificazione che eccede i limiti intellettuali dell’Occidente moderno (ma forse non mostriamo la stessa diffidenza illuminista verso le devozioni smisurate dei monaci e dei mistici del cristianesimo medioevale o controriformista?). Di Lecce cattura i tratti dei maestri che ha incontrato: il guru, parola sanscrita che indica la guida o il precettore spirituale, è una figura essenziale nella religione induista, comune a tutte le scuole filosofiche e devozionali avente diritto al massimo rispetto ed alla venerazione. A questi si accostano i rishi, i profeti mistici, e i pandit, gli eruditi: in qualunque veste si presenti le scritture induiste da sempre considerano i maestri religiosi come una manifestazione di Dio. Così è del fachiro, concetto che deriva dall’arabo faqir, ossia “povero”, e originalmente identificava i dervisci (o sufi) musulmani, diffusi soprattutto in Anatolia e in Persia, i quali vivevano nella più assoluta sobrietà; con questa parola oggi s’intendono i mendicanti, islamici o indù, noti per la dedizione allo dhikr o allo yoga, le pratiche mistiche a cui rispettivamente si dedicano. Popolarmente “fachiro” significa inoltre l’asceta in grado di sottoporsi a prove particolarmente gravose, dolorose o bizzarre quali camminare su carboni ardenti (pirobazia) o dormire su letti irti di chiodi. Anche a queste acrobazie del corpo-spirito Di Lecce guarda con interesse non ingenuo ma neppure snob, cogliendolo come uno degli aspetti più vari e contraddittori del suo viaggiare. Le fotografie di Giuseppe non rappresentano una caccia alla sapienza o una severa selezione delle élites colte e spirituali del subcontinente indiano, né sono un’indagine erudita sulle diverse tipologie religiose e filosofiche dell’ascesi orientale: sono incontri tra il favoloso e il grottesco, di uomini reali che sembra abbiano vinto la carne e il tempo, facendo del corpo una marionetta disponibile ad ogni piegamento e delle necessità una norma elasticissima come il respiro.
Rubrica delle Arti Visive
A cura di Alessandro Giovanardi, Critico d’Arte.
Artista
GIUSEPPE DI LECCE
366 3216499
beppetiello@hotmail.it
Autore

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