Modifica preferenze cookie

Grafica spontanea

Era il 1991 quando Massimo Dolcini, il mio professore alla scuola di grafica, invitò tutta la classe a recarsi nel centro storico di Rimini per svolgere un divertente e istruttivo esercizio. Ci chiese di fare un reportage fotografico di quella che lui definiva la “grafica spontanea”. Dovevamo immortalare insegne pubblicitarie o cartelli promozionali che fossero scritti di proprio pugno, meglio ancora se con pennarelli colorati, da negozianti con una qualche vena creativa. L’esercizio era per farci capire la differenza tra la grafica che studiavamo noi, fatta di rigide regole progettuali e di una metodologia pressoché scientifica e una grafica spontanea, ovvero quella utilizzata da chi non possedeva nessun tipo di conoscenza della materia.
Si sa che in Romagna non siamo digiuni di estrosità artistica e ciò che venne fuori dal compitino fu parecchio esilarante. Ricordo le innumerevoli fotografie di insegne che pubblicizzavano la vendita di piade e cassoni. All’epoca, quasi tutte riportavano i nomi di battesimo delle titolari e di Piadineria Jole, Piadineria Giusy, Piadineria Lory, ce n’era una vasta campionatura. Perlopiù erano scritte a mano, con una calligrafia quasi sempre sgangherata, dai contorni tremolanti e composte da lettere sempre più sproporzionate man mano che si allungava il nome della titolare. Quelle con il nome più lungo erano veri e propri sgorbi perché le ultime lettere diventavano praticamente invisibili. Le insegne più avanguardistiche erano anche corredate da disegnini di piade con lo squacquerone o da cassoni con le rosole o con la mozzarella, ma erano talmente brutte che stimolavano tutto, tranne un attacco di fame. Alcuni compagni di scuola fotografarono una bella panoramica di cartelli scritti dai fruttivendoli e dagli ortolani del mercato coperto. A guardarle tutte assieme veniva da pensare che si copiassero a vicenda, altrimenti non c’era spiegazione logica per quel furoreggiare della parola “chivi”. “Chivi” era quasi sempre scritto con un pennarello molto sottile a evidenziare, forse, una certa reverenza verso il nome di un frutto ancora abbastanza sconosciuto. La foto che vinse il premio “grafica spontanea più divertente” era un’insegna realizzata su una scatola di cartone bisunto. A lettere cubitali, totalmente sproporzionate, c’era scritto “macellaio”. Perché il messaggio fosse assolutamente chiaro e inequivocabile, il macellaio aveva sistemato l’insegna direttamente sopra un’enorme testa di cinghiale imbalsamato, con la bocca aperta e le zanne ben in evidenza. Anche se di buon gusto faceva difetto, la si poteva scorgere da molto lontano e per un’insegna che si rispetti era un gran bel vantaggio. In quegli anni c’era grande fermento da parte dei negozianti per rendere appetibile la propria attività commerciale e, dato che il marketing si sarebbe affermato con prepotenza solo un po’ più avanti, la grafica spontanea fu il primo strumento di comunicazione pubblicitaria a essere impiegato.
Da allora sono trascorsi quasi trent’anni e, anziché evolversi tanto da non permettere più a chicchessia di occuparsene in modo superficiale, approssimativo e sommario, la grafica ha subìto un progressivo e inesorabile percorso involutivo. Dopo il suo grande successo iniziale, dovuto a studiosi del calibro di Bruno Munari e Albe Steiner, è stata fagocitata senza alcun rispetto da una mandria di persone che, solo per avere installato Photoshop, si fanno chiamare grafic designer. Questa involuzione si è ulteriormente aggravata quando si è iniziato a trattare barbaramente e senza alcun rispetto anche la lingua italiana, nella collettiva indifferenza. Pochi giorni fa ero in un ristorante e ho notato una bella lavagnetta con il menù del giorno scritto a mano. Era una bella calligrafia, morbida e tondeggiante e prometteva un pasto invitante. Purtroppo però mi ha fatto andare di traverso il pranzo.

Può un ristoratore scrivere impunemente “scalopine” coi funghi?
La mia linguaccia non è riuscita a tacere e ho fatto presente l’errore ortografico alla cameriera. Si è immediatamente giustificata dicendo di non essere lei l’artefice della scritta e di non essersene accorta per tempo, altrimenti l’avrebbe fatto presente al titolare.
Ma se questo trend di incompetenze, di faciloneria, di pressapochismo e sommarietà dovesse lambire altri ambiti della nostra vita mettendola addirittura in pericolo?
Detesto fare la catastrofica, ma vi rammento che in soli sei mesi sono già caduti tre ponti!

Barbara Tosi

Direttore La Maison & Lifestyle Magazine.

La Maison e Lifestyle Magazine