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Ogni benedetto Natale

Io non ho niente contro il Natale, è il suo fan club che mi mette ansia. Gli adepti che già i primi giorni di Ottobre:

1) fischiettano Jingle Bells perché “non senti anche tu che l’atmosfera sta cambiando?”;
2) iniziano a comprare i regali perché “è più intelligente, si fanno le cose con calma e si spende meno”;
3) scelgono gli addobbi e il menù delle feste perché “non c’è niente di meglio che passarle in famiglia”.

Analizziamo la situazione punto per punto. Innanzitutto, a voi simpatizzanti del “a natale demo da esse tutti più bboni” vorrei far sapere che ogni qual volta sento un motivetto inneggiante a slitte, campane, neve o bambini che perdono aerei, mi viene voglia d’invadere la Lapponia. Soprattutto a Ottobre, quando ho tutto il diritto di chiamare il fuorigioco. E non ci provate neanche a parlarmi di spirito natalizio, a meno che non intendiate l’alcool che userei volentieri per incendiare le renne luminose del vostro giardino. Partiamo dal presupposto che se bastasse dire ad una persona di essere buona per trasformarla in  “puro amore”, Bruno Vespa non potrebbe usare tutti quei plastici nelle sue puntate. E l’assassino non sarebbe il vicino di casa, quelle nove volte su dieci. Se sentite qualcosa nell’aria, aprite le finestre: probabilmente, è puzza di chiuso. Punto due: i regali. Se le persone intelligenti li comprano con due mesi di anticipo, mi spiegate per quale cacchio di motivo, vi trovo tutti in fila alla cassa, davanti a me, il 24 dicembre? Tutti con quell’aria fresca e riposata, poi…, tipo Jack Nicholson in Shining. In genere, il più sereno tamburella con le dita, un messaggio in codice morse, sul frigo dei gelati: “…un male ai piedi, ragazzi, che manco agli scout quando ero piccolo… quasi, quasi, mollo la spesa qui e dico ai parenti che sono entrato nei Testimoni di Geova…” A questo punto, però, vorrei anche sapere come mai, visto che iniziate a pensarci ad ottobre, nella mia breve (brevissima!) esistenza ho ricevuto regali talmente raccapriccianti da non riuscire a buttarli, perché mi faceva senso anche solo toccarli. Lancio un appello ai produttori di: cappelli con paraorecchie e imbottitura in pelo; pigiami interi (da adulto!) con piedini, bottoncini a pressione sul retro ed il disegno di un orsetto sul petto; pantofole di peluche a forma di maiale; calze rosa di Hello Kitty (maledetto gattaccio) con elegantissima suola antiscivolo ed un completo intimo di tre taglie più piccolo (spudoratamente riciclato), con piume svolazzanti non vi dico dove… Ecco, produttori di ripugnanza, io mi rivolgo a voi per porre fine a questa piaga sociale: abbiate pietà e cessate il fuoco. Capisco che tenete famiglia, ma c’è un limite anche nello sfruttare la dabbenaggine di certa gente. So che anche voi avete un cuore: toglietelo dal freezer e convertitevi al buon gusto. Non sto scherzando: attenti che Gesù vi vede, eh!
Punto tre: gli addobbi ed i parenti. Avanti, ammettetelo. Chi di voi non ha ceduto alle lusinghe delle lucine colorate intermittenti e, rischiando una crisi epilettica, ne ha acquistati tanti kilometri da poterci illuminare una pista d’atterraggio? Del resto, chi non vorrebbe emulare Tom Hanks in “The Terminal” ed abitare in un aeroporto? Non so voi, ma non mi sembra Natale se, a cadenze regolari, non rischio di cadere fulminata accendendo contemporaneamente le luci di casa, quelle dell’albero, il pupazzo di Santa Claus appeso alla grondaia e i balconi di tutta la via. Per fortuna, mia sorella non mi fa mancare niente e l’unico cantuccio senza decorazioni è la cesta del gatto. Per ora. Ma il clou delle feste rimane il pranzo di Natale, attesissimo evento in cui tutti finiamo per essere il “che palle i parenti” di qualche parente. Gente che non riesce ad esimersi dall’impicciarsi degli affari tuoi e dal porre il quesito evergreen: “allora, cosa fai a Capodanno?”. (Praticamente, non faccio in tempo a schivare una rogna che già me ne prospettano un’altra!) Ma, date le circostanze, fingo di non sentire e mi preparo ad affrontare le quindici portate che mi faranno rinnegare la prima legge della dietetica: se ha un buon sapore, non è per te. Dopo essermi spazzolata, in un unico pasto, l’intero PIL del Congo (dal 1970 al 2012), il senso di colpa non vuole saperne di affogare nello spumante e mi tocca zittirlo immaginando d’iscrivermi in palestra, di correre al parco tutte le sere e di mangiare solo carote crude per i prossimi tre anni. E niente. Il senso di colpa non lo freghi nemmeno a Natale: sa perfettamente che le carote crude mi fanno schifo. Così, mi ritrovo ad invidiare i miei nipotini e la leggerezza e l’entusiasmo con cui vivono questo momento, godendosi ogni attimo. Sono convinta che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nell’alzarsi la mattina di Natale e non essere un bambino. In ogni caso, Buon Natale e, come dice il mio amico Andrea, “stay human”.

Autore

Romina Marzi
Romina MarziCopywriter
Laureata in Scienze della Comunicazione, dal 2008 lavora presso l’agenzia TEN Advertising s.r.l. con la mansione di copywriter. Si occupa di stilare e correggere i testi commerciali che vengono usati per campagne pubblicitarie, siti web, brochure, presentazioni aziendali o di prodotto. Collabora alla realizzazione della Rivista La Maison e Lifestyle dove, nel corso degli anni, ha ideato diverse rubriche a carattere umoristico: “pausa caffè”, “quel sassolino nella scarpa”, “Lui dice/Lei dice”.
Romina Marzi

Laureata in Scienze della Comunicazione, dal 2008 lavora presso l’agenzia TEN Advertising s.r.l. con la mansione di copywriter. Si occupa di stilare e correggere i testi commerciali che vengono usati per campagne pubblicitarie, siti web, brochure, presentazioni aziendali o di prodotto. Collabora alla realizzazione della Rivista La Maison e Lifestyle dove, nel corso degli anni, ha ideato diverse rubriche a carattere umoristico: “pausa caffè”, “quel sassolino nella scarpa”, “Lui dice/Lei dice”.

La Maison e Lifestyle Magazine