
“T’avviso: non troverai un altro come me.” “L’idea era quella!”
Quando finisce un amore, noi donne manteniamo sempre un certo contegno, il cosiddetto aplomb inglese. Soprattutto se è lui a lasciarci con scuse illogiche del tipo “Non sei tu, sono io” (Certo che sei tu! Mi stai lasciando tu!!), “Non sopporto di fare sempre le stesse cose. La ruotine mi uccide” (Per routine, immagino tu ti riferisca a passare l’aspirapolvere una volta alla settimana, mentre io, al ritorno dall’ufficio, cucino, faccio la spesa, lavo e stiro. Hai ragione, non è giusto lasciare che se ne occupi la routine: dovrei ammazzarti io!), “Non sono sicuro di amarti ancora” (Non te ne faccio una colpa. Ti auguro solo di venire dilaniato da un branco di lupi selvaggi, in piena crisi ipoglicemica!).
Nonostante la sequela di scuse diventi sempre più assurda e inaccettabile (secondo il principio per il quale se dai un po’ di corda ad un uomo, si impiccherà da solo), noi manteniamo l’impassibilità di una sfinge: un mix tra il garbo di Odifreddi e il genio di Da Vinci. O almeno è quello che, in teoria, vorremo fare… In teoria! In pratica, gli urliamo in faccia tutto il nostro disprezzo, scosse da un pianto disperato e asincrono, perché intervallato da frasi accusatorie “Pensi solo a te stesso”, minacce “Se te ne vai, non mi vedi più”, suppliche “Aspetta, parliamone” e geniali intuizioni “Non mi hai mai amato veramente!”. In meno di dieci minuti, sperimentiamo tutti gli stati emotivi che un uomo non riuscirebbe a provare in una vita: rabbia, frustrazione, nostalgia, rimorso, rimpianto, confusione, paura, amarezza, delusione e angoscia. Psycho, al confronto, è un documentario sui possibili utilizzi dei coltelli da cucina. Dopo aver perso ogni briciolo di dignità grazie alla nostra scenata isterica e aver tentato qualsiasi tipo di bassezza per indurlo a restare, dal far leva sui ricordi felici all’afferrarlo per una gamba e lasciarsi trascinare fino al portone d’ingresso (le più disperate arrivano anche a giocarsi la carta del suicidio), rimaniamo sconvolte a meditare su quanto lui sia immaturo, egocentrico e superficiale; in una parola, uno stronzo. I giorni successivi, li trascorriamo chiuse in camera, al buio, ascoltando canzoni malinconiche, in cui la frase più ottimista è “Troverò qualcuno come te” (perché, giustamente, una volta non c’è bastata!), o cantando a squarciagola “Non ti scordar mai di me” di Giusy Ferreri. Mentre rischiamo di compromettere per sempre il nostro orecchio musicale, diamo fondo anche a tutta la nostra riserva di lacrime. Piangiamo fino a prosciugarci. Il periodo di disidratazione, termina quando un’amica compassionevole ci costringe, con infinita pazienza, ad uscire dalla bara in cui abbiamo trovato rifugio durante la nostra condizione vampiresca e ci aiuta ad analizzare ogni più piccolo dettaglio che può aver incrinato il rapporto fino a condurlo alla sua rottura definitiva. Trovare un qualunque motivo dell’abbandono è indispensabile per “arrivare a farsene una ragione”: poco importa quale sia la vera causa. Perché è ovvio che è colpa sua. Si, certo: noi possiamo aver adottato di tanto in tanto atteggiamenti assillanti, nutrito le stesse aspettative che gli Indiani avevano riposto in Gandhi, aver trascurato di fare la ceretta fino ad assumere le sembianze, in certi giorni, del Minotauro, ma tutto questo passa in secondo piano rispetto al fatto che lui ha scelto la fuga, anziché lottare per salvare il rapporto. Senza nemmeno accennare alla sua colpa più grave: come può riuscire ancora a respirare senza di noi?? Superata la fase dei “perché” e “cosa è andato storto”, che può durare svariate settimane (mesi, se le nostre amiche sono particolarmente masochiste), lo smaltimento del dolore esige ulteriori vittime: il pavimento del soggiorno diventa un cimitero alimentare su cui giacciono i resti di barattoli di Nutella, sacchetti di patatine fritte, flaconi di panna spray e confezioni di gelato da 5 kg. Ogni colpo inferto alla nostra linea e al nostro colesterolo serve ad aumentare il desiderio di vendetta e riscatto: più sofferenza e punizioni ci infliggiamo, maggiore sarà la nostra determinazione a fargliela pagare, quando saremo abbastanza forti da reagire.
Nel frattempo, ci sorbiamo ogni genere di film melenso (comprese le soap opera come “Tempesta d’Amore” che abitualmente non guarderemmo nemmeno sotto la minaccia di un’estradizione), per convincerci ulteriormente che non siamo noi ad aver sbagliato qualcosa; la verità è che non abbiamo ancora trovato l’uomo giusto, quello che si innamorerà perdutamente di noi e bacerà la terra su cui camminiamo. (Chiaramente, comparirà in sella ad un cavallo bianco e avrà il corpo muscoloso e atletico, fasciato in una calzamaglia azzurra, tipo un ballerino di “Amici”. Il fatto che uno così possa solo essere gay, è un’ipotesi che non siamo ancora in grado di prendere in esame). Tuttavia, non tutte le donne scelgono di uccidersi col cibo: alcune preferiscono finire in bancarotta a colpi di shopping sfrenato, mentre altre optano per sbronze epocali che resettino la memoria e l’autostima. Se si esce vive dalla fase autolesionista alla “Bridget Jones”, può iniziare la ripresa. Non potete sbagliare: il primo segnale è il taglio di capelli. Per una donna, la decisione di chiudere con il passato coincide inesorabilmente con il cambio di look. E a quel punto è fatta: solitamente, al rimodellamento del corpo, corrisponde il restyling della mente. Lento, ma inesorabile. In tutto questo procedimento, però, non bisogna MAI dimenticare di:
A) resistere alla tentazione di staccare a morsi le braccia di coloro che ci ripetono in continuazione “Si chiude una porta, si apre un portone” e limitarsi a rispondere: “Vorrà dire che terrò le finestre aperte, così se quel fottuto portone si apre, la corrente lo sbatte in faccia al prossimo che si presenta!”;
B) evitare come la peste, le amiche che cercano di sistemarci. Il famigerato “chiodo scaccia chiodo” funziona soltanto se si sta cercando di smontare delle mensole dal muro;
C) apprezzare i vantaggi dell’essere single: ora possiamo tornare alle quattro del mattino, senza dover dare alcuna spiegazione, lasciare che l’eco della nostra voce rimbombi liberamente dentro il frigo vuoto ed evitare di sentirci in colpa se giriamo per casa indossando un pigiama antistupro. Una figata.
Infine, la regola più importante di tutte, tratta direttamente da “Sex and the City”: “non conta chi ti ha spezzato il cuore o quanto ci vuole per guarire, non ce la farai mai senza le tue amiche.”
di Romina Marzi
Autore

- Copywriter
- Laureata in Scienze della Comunicazione, dal 2008 lavora presso l’agenzia TEN Advertising s.r.l. con la mansione di copywriter. Si occupa di stilare e correggere i testi commerciali che vengono usati per campagne pubblicitarie, siti web, brochure, presentazioni aziendali o di prodotto. Collabora alla realizzazione della Rivista La Maison e Lifestyle dove, nel corso degli anni, ha ideato diverse rubriche a carattere umoristico: “pausa caffè”, “quel sassolino nella scarpa”, “Lui dice/Lei dice”.
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