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Storie di ordinaria follia: Il viaggio della speranza (seconda parte)

Il viaggio della Speranza (seconda parte)

Incrociamo un gommone malconcio che sembra una spazzola per capelli rovesciata che galleggia, tanto è carico. Il mio autista e quello del gommone si salutano chiudendo i pugni e incrociando i polsi sopra la testa. Il viaggio prosegue fra schizzi d’acqua, dondolii e imprecazioni pugliesi del nostro scafista costretto, di tanto in tanto, a lasciare il timone per togliere con un secchio l’acqua entrata in barca. Arriviamo a Rimini che è quasi notte. All’altezza del bagno 26 la barca si infila nella stretta foce dell’Ausa. Le abbondanti piogge primaverili hanno reso il corso d’acqua navigabile, anche se il letto del fiume è molto stretto. Le celeberrime acque non proprio cristalline del fiume assumono una colorazione quasi fosforescente durante la notte. All’altezza di Ghigi un’anatra insegue un gatto ruggendo, mentre verso Cerasolo un rospo grosso come un cappone sta ingaggiando un corpo a corpo con un ratto. La nostra barchetta passa ronzando sotto il ponte di Rovereta facendosi largo fra le pantegane. D’un tratto vedo Angela alzarsi in piedi e chiedermi incuriosita: “Ma quella roba lì cos’è?”.
“Quello è il World Trade Center amore mio. Siamo arrivati!”, le dico. “Il World Trade Center? Vuoi dire che abbiamo navigato fino a New York?”. “No, è che… Beh è una storia lunga, te la racconto in un altro momento. Comunque tranquilla stiamo per entrare a San Marino”. Faccio appena tempo a finire la frase che udiamo un “Altolà” provenire dalla penombra avanti a noi. “Madonna del frutteto qualcuno ci ha fregheto” grida lo scafista e con l’agilità di un gatto castrato si getta in acqua abbandonandoci al nostro destino. Ci voltiamo quando udiamo le sue grida mentre un tentacolo lo cinge trascinandolo sott’acqua sottraendolo all’orda di sorci che l’aveva assalito. Davanti a noi un faro ci abbaglia, mentre una voce ci intima nuovamente l’alt. Proteggendoci gli occhi dalla luce forte cerchiamo di scorgere chi sta parlando. Due tizi con la divisa verde e pantaloni rossi ci chiedono di accostare. “Oddio i leghisti!” grida Angela. “No, non farti tradire dalle apparenze amore, sono solo… Non importa rimani calma” le dico. “Prego signori. Favorite patente e libretto” ci dice uno dei due.
“Ma veramente noi …”, esito un istante non sapendo che dire.
“Ho capito, non ce li avete allora. Qual è il motivo della vostra visita a San Marino?”. “Sa io sono di qua e lei è la mia ragazza”.
“Ha il permesso di soggiorno la signorina?” mi chiede.
Angela scoppia a piangere gridando “Lo sapevo, lo sapevo che andava a finire così” e battendomi coi pugni sul petto.
I due ufficiali capiscono stranamente al volo la situazione. Chiamano il comando via radio. Dopo pochi minuti arriva una pattuglia che ci carica e ci porta al centro di prima accoglienza che c’è nei sotterranei del World Trade Center. L’intervento dei miei famigliari, di amici e dell’ambasciata d’Italia a San Marino chiarisce la situazione e veniamo rilasciati. Ora viviamo in una casetta a Domagnano dove la nostra piccola cresce sana e rubiconda. Nonostante l’impatto brusco Angela comincia ad apprezzare la mia Repubblica salvo per il fatto che da noi senza la macchina non vai da nessuna parte. Ma soprattutto i marciapiedi sono un optional e per chi deve spingere una carrozzina con le macchine che gli sfrecciano a pochi centimetri e che sembra debbano raggiungere la velocità per entrare nel futuro, non è proprio il massimo!

Ettore Mularoni

Storie di ordinaria follia.

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